Il duomo era illuminato dalla fiammella di mille candele, bianche, lunghe, come i giorni italiani, che sembravano non passare mai. La gente, elegantissima, esibizionista come gli infiniti rintocchi delle campane di mezzanotte.
Tutto quel latino, l'ostentazione. Abbastanza inutile. Lui si guardò intorno, fra la noia e il senso di misticismo, vero o presunto, della gente, l'odore di cera e i profumi delle signore.
Più avanti, sotto la statua del santo nella teca, la vide. Avevano stabilito l'ora e il luogo. Era con i genitori. Non poteva andare a salutarla ed augurarle buon Natale.
Sua madre lo guardò. Gli occhi luminosi, quel vago sorriso stampato sul viso. Percorse la direzione del suo sguardo ed intercettò quella biondina, molto carina e ben vestita. Non gli chiese niente, ma intuì, sorridendo fra sé.
La messa è finita, andate in pace. Gli amen si levarono in alto insieme a un cicaleccio, forse inopportuno, tu cos'hai mangiato, tu cos'hai ricevuto?
I due battenti del grande portone in bronzo con i bassorilievi in oro, aperte come braccia, lasciavano defluire la folla all'esterno.
Lui, fermo al suo posto, non le toglieva gli occhi di dosso. Dio, è meravigliosa, grazie per questo regalo.
L'aquila esibiva il suo piumaggio più bello. Lo sguardo fiero, il becco proteso, le ali pronte per spiccare il volo. Guardami, guardami, sono qua, ci sono...
Lei alzò lo sguardo, lo volse intorno, lo cercò e, finalmente, lo vide. Sgranò gli occhi, che brillarono alla luce delle candele.
Sono qua, ti ho visto, ci sono...
Nell'uscire, gli passò accanto, allungò una mano. Nessuno se n'era accorto. Nessuno lo aveva notato. Lui la prese, accarezzandogliela. Un veloce scambio di occhiate, un impercettibile cenno delle labbra. Buon Natale.