Zivkovic, La Jugoimport e i traffici d’armi con l’Iraq

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Lexuar 3257
Il nuovo primo ministro della Serbia, Zoran Zivkovic, è stato per anni ai vertici della Jugoimport, un’azienda che commercia in armi, è stata coinvolta in traffici con l’Iraq e il cui vertice assomiglia a una vera e propria cupola politico-affaristica-militare

Tre giorni fa, il 19 marzo, uno scarno comunicato dell’agenzia Beta rendeva noto che il neoeletto primo ministro della Serbia, Zoran Zivkovic, si era dimesso dalle sue cariche di membro del consiglio di amministrazione rispettivamente dell’Industria del Tabacco di Nis (DIN) e della Jugoimport SDPR. La motivazione data è che tali cariche non sono conciliabili con la funzione di premier. Le dimissioni dalla DIN a sole due settimane dall’avvio della procedura con cui il governo guidato dallo stesso Zivkovic privatizzerà l’appetibile azienda (i principali candidati al suo acquisto sono Philip Morris e British American Tobacco) non sono certo una garanzia sufficiente a escludere un approccio “insider”. Tuttavia, è il nome della Jugoimport a riportare alla memoria i fatti più imbarazzanti, che legano il neopremier a traffici d’armi con l’Iraq, alla lobby degli armamenti e a una vera e propria cupola politico-affaristica-militare.

LA JUGOIMPORT E L’IRAQ

La Jugoimport è stata per 50 anni un vero e proprio gigante dell’economia jugoslava. Questa azienda statale (controllata dal Ministero della Difesa federale), ha avuto infatti fino ad anni recentissimi il monopolio sul commercio di armamenti del paese. Secondo le parole del suo ex direttore, il gen. Jovan Cekovic, il suo giro d’affari fino al 2002 è stato di circa 23 miliardi di dollari, dei quali 16-17 miliardi sono attribuibili a esportazioni. Secondo altre stime non ufficiali, il suo giro d’affari annuo attuale sarebbe di circa 3 miliardi di dollari e il suo profitto netto di 750 milioni di dollari. La Jugoimport ha inoltre la facoltà di gestire in proprio i profitti realizzati, che non è tenuta a versare al Ministero della Difesa. Il suo salto di qualità l’azienda lo ha fatto negli anni ’80, quando il conflitto tra Iran e Iraq le ha aperto la possibilità di concludere lucrosi accordi con Bagdad. Ma il suo più grande affare (legale) la Jugoimport lo ha realizzato nel 1990 con il Kuwait, vendendo a tale paese carri armati per 500 milioni di dollari. A partire dagli anni ’90, molti ex dipendenti della Jugoimport, perlopiù militari, hanno abbandonato l’azienda per costituire proprie società di commercio d’armi con volumi d’affari di decine di milioni di dollari. La Jugoimport collabora con alcune di esse. Viste le cifre in gioco, non sorprende che del suo consiglio di amministrazione abbiano sempre fatto parte importanti esponenti dell’esercito e politici – sotto Milosevic sono stati consiglieri di Jugoimport, tra gli altri, l’ex presidente jugoslavo Zoran Lilic e l’ex capo di stato maggiore Nebojsa Pavkovic, oltre a numerosi fedeli di Mira Markovic.

Verso la metà dell’ottobre scorso forze della SFOR hanno perquisito la fabbrica di armi Orao, nella Republika Srpska, sequestrando una serie di documenti che comprovavano la vendita di pezzi di aerei e altre apparecchiature militari all’Iraq e alla Liberia, in violazione dell’embargo ONU. Delle esportazioni illegali verso l’Iraq, secondo la documentazione, si occupava direttamente la Jugoimport. Dalla documentazione sequestrata, risultava inoltre che fino all’estate scorsa tecnici della Jugoimport erano impegnati in Iraq in operazioni di smantellamento e occultamento di apparecchiature militari. Nelle settimane successive allo scoppio dello scandalo è stata intercettata in Croazia una nave montenegrina, abitualmente utilizzata dalla Jugoimport, carica di propellenti alla nitrocellulosa e nitroglicerina inviati dall’azienda serba all’Iraq, sotto la falsa etichettatura di carbone attivo. Nel contempo è emerso anche che nel 1999 la Jugoimport era stata incaricata di coordinare le attività della Jugoslavia nell’ambito del programma ONU “Oil for Food”, destinato all’Iraq: un fatto strano, perché l’azienda jugoslava si occupa esclusivamente di commercio d’armi e non di generi di prima necessità.

Banja Luka ha reagito prontamente allo scandalo, aprendo una commissione di inchiesta e accertando la veridicità dei fatti, tanto che il ministro della difesa e il capo dell’esercito della Republika Srpska sono stati costretti a dimettersi (il presente articolo non si occupa dei dettagli dello scandalo Orao-Jugoimport-Iraq, che potete trovare nei due esaustivi testi: International Crisis Group, “Arming Saddam: the Yugoslav Connection”, http://www.crisisweb.org; e Tom Cooper, “The Orao Deal”, in The ACIG Journal, http://www.acig.org/artman/publish/article_15.shtml). La reazione di Belgrado è stata invece ben diversa.

CHI DIRIGE LA JUGOIMPORT

A partire dal 1994 il colosso jugoslavo del commercio di armamenti è stato diretto da un militare, il gen. Jovan Cekovic, uno dei tanti fedelissimi di Milosevic convertitosi al nuovo corso di Djindjic e Kostunica. Dopo la caduta di Milosevic la carica di Cekovic è stata confermata dalle nuove autorità della DOS e il dirigente è stato promosso generale colonnello con un decreto speciale dell’allora presidente Kostunica. Ma l’aspetto più sconcertante è quello della composizione del consiglio di amministrazione dell’azienda, del quale allo scoppio dello scandalo facevano parte, oltre al ministro della difesa federale Velibor Radojevic e al primo ministro federale Dragisa Pesic, anche il ministro degli interni serbo Mihajlovic, il capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo Branko Krga, e l’allora ministro degli interni federale, e oggi premier serbo, Zoran Zivkovic. Mihajlovic, Krga e Zivkovic sono le tre persone che in questo momento, dopo l’omicidio di Djindjic e in assenza di istituzioni stabili, concentrano nelle proprie mani quasi tutto il potere nel paese, un potere straordinario grazie allo stato d’emergenza.

Mihajlovic è addirittura presidente del consiglio di amministrazione della Jugoimport. Non si capiscono i motivi per cui gli è stata attribuita questa importante carica, visto che la Jugoimport è sempre stata un’azienda federale, mentre Mihajlovic è ministro degli interni della Serbia: la sua carica nell’azienda ha evidentemente motivazioni prettamente politiche. Dusan Mihajlovic è stato alleato di Milosevic negli anni ’90 e, oltre avere dimostrato ultimamente tutta la sua inettitudine come responsabile degli interni, è anche un imprenditore. E’ infatti proprietario e direttore generale della società Lutra, che commercia in petrolio e “generi vari”. La Lutra è stata una delle società che ha dovuto pagare la tassa sui “profitti extra”, prevista da una legge speciale per ricuperare in modo indolore parte delle ricchezze accumulate illegalmente dagli accoliti di Milosevic. Nel dicembre scorso, inoltre, la Lutra è stata accusata dal quotidiano scandalistico “Nacional” di essere direttamente coinvolta nei traffici d’armi con l’Iraq, al quale avrebbe venduto pezzi per radar.

Branko Krga è stato nominato da Kostunica capo di stato maggiore dell’esercito ad interim nel giugno del 2001, in seguito alla rimozione del suo predecessore Nebojsa Pavkovic, “punito” per essere passato dalla parte di Djindjic e avere abbandonato il suo precedente protettore, cioè lo stesso Kostunica. Krga ha lavorato per lunghi anni come caposezione nella direzione dei servizi segreti dell’esercito e nel 1999, durante la guerra del Kosovo, è stato consigliere di Slobodan Milosevic per le questioni relative ai servizi segreti. Successivamente è stato promosso capo dei servizi di informazione dell’esercito. Secondo fonti serbe gode di ottimi rapporti con la Russia e l’Occidente e sarebbe uno dei generali che avrebbero convinto Pavkovic a non fare intervenire l’esercito il 5 ottobre del 2000.

Zoran Zivkovic è sempre stato l’uomo forte del DS a Nis, città della quale è stato per anni sindaco. Anche lui ha origini “imprenditoriali”: nel 1988, cioè nel pieno della transizione politico-mafiosa al capitalismo di Milosevic, entra nel business con un’azienda, la Tehnomeding, che verso la metà degli anni ’90 fallisce lasciando un buco finanziario che causa dissesti ad altre aziende di Nis. Negli ultimi anni, oltre a fare parte dei consigli di amministrazione di DIN e Jugoimport, è stato ministro degli interni federale, carica che ha rivestito senza registrare alcun successo nella lotta contro la criminalità politica, economica e mafiosa. Vista la sua carica istituzionale, si può dedurre che sia tra i responsabili dell’insabbiamento delle indagini sui responsabili della vicenda dei “camion frigoriferi” con i quali i cadaveri di centinaia di albanesi massacrati in Kosovo sono stati portati in Serbia e sepolti in fosse comuni.

LE “INDAGINI”

In un primo tempo gli Stati Uniti hanno esercitato forti pressioni su Belgrado affinché il caso dei traffici di armamenti con l’Iraq venisse chiarito e i responsabili individuati. A inizio novembre una delegazione di Washington si è recata a Belgrado per svolgere indagini sul caso. La prima reazione del governo jugoslavo è stata quella di rimuovere dai loro incarichi due persone: il viceministro della difesa incaricato dei controlli sulle operazioni di vendita della Jugoimport e, soprattutto, il direttore Cekovic. Immediatamente dopo la sua rimozione, tuttavia, Cekovic è stato nominato consulente della Jugoimport, per poi essere completamente allontanato dall’azienda solo in un secondo tempo, dietro pressioni USA. Il suo posto è stato rilevato da Stevan Nikcevic, il quale altri non è se non il vice di Zoran Zivkovic al ministero degli interni federali. Nikcevic è stato alto funzionario dei servizi segreti di Belgrado sotto Milosevic ed è stato accusato di avere fatto parte, come tale, del gruppo incaricato di seguire Slavko Curuvija, il noto giornalista assassinato dal regime durante i bombardamenti del 1999: il fratello dello stesso Curuvija a tutt’oggi ritiene Nikcevic, che nega, uno dei responsabili dell’omicidio.

Tuttavia, non solo l’ex direttore Cekovic, ma anche molti membri del consiglio di amministrazione erano da ritenersi responsabili. Infatti, tutte le operazioni dell’azienda dovevano passare per l’approvazione scritta del consiglio di amministrazione: nessuno dei membri di quest’ultimo, secondo le parole di Cekovic, ha mai avuto da ridire sulle operazioni di vendita. Che un affare di dimensioni come quelle della vendita all’Iraq sia passato inosservato al consiglio di amministrazione, e sopratutto ai due ministri degli interni, appare poco credibile e sarebbe comunque una testimonianza della loro totale inaffidabilità.

Il governo federale ha costituito il 29 ottobre scorso una commissione incaricata di indagare sul caso della vendita illegale di armamenti all’Iraq. Della commissione di inchiesta facevano parte Velibor Radojevic e Zoran Zivkovic, i quali hanno quindi indagato su se stessi! La commissione ha terminato le sue indagini in meno di dieci giorni. E’ stato Zivkovic a riferirne i risultati alla stampa il 18 novembre: “la Commissione”, ha spiegato Zivkovic, “non ha indagato sulla Jugoimport, ma sul Ministero della Difesa… Siamo giunti ad alcune decisioni, come la sospensione di tutti i protocolli di cooperazione con i paesi sotto sanzioni ONU. Ci sono state irregolarità nell’emissione di permessi per il commercio di armi e apparecchiature militari. E’ chiaro che le armi erano destinate all’Iraq… Non è compito della Commissione decidere chi è colpevole. La Commissione non può giudicare” (“Blic”, 18 novembre 2002). Da parte sua Dusan Mihajlovic ha annunciato l’apertura immediata di un’inchiesta a livello della repubblica, con la quale sarebbero stati esaminati tutti i documenti e i contratti firmati dalla Jugoimport. Inutile dirlo, fino al momento in cui scriviamo Mihajlovic non ha avviato alcuna inchiesta. Tutto finisce qui: Mihajlovic, Radojevic e Zivkovic, nella veste di giudici, hanno assolto Mihajlovic, Radojevic e Zivkovic nella veste di indagati! Da notare infine che gli Stati Uniti, pur nel clima di caccia internazionale alle streghe che ha contraddistinto i preparativi alla guerra contro l’Iraq, si sono accontentati di questa “non indagine” e non hanno più esercitato alcuna pressione. Anzi, il 18 dicembre scorso l’attuale direttore della Jugoimport, ed ex uomo di Milosevic, Stevan Nikcevic, si è recato in visita ufficiale negli Stati Uniti per avviare una cooperazione tra l’azienda e la parte americana.

Il caso è chiuso e fino a oggi non è stato più aperto. E’ da escludersi che venga riaperto ora o in un prossimo futuro, dato che gli stessi Mihajlovic, Zivkovic (e Krga) sono i principali protagonisti della difesa degli “interessi dello stato” contro i criminali. Vale la pena a tale proposito citare per esteso cosa scrive l’International Crisis Group riguardo al contesto in cui è scoppiato lo scandalo: “si è verificato nel momento in cui era imminente un passaggio di poteri dal livello federale a quello delle due repubbliche. Gli esiti di questa trasformazione sono ancora incerti, sia per i militari che per i commercianti d’armi. Poiché è sicuro che le repubbliche avranno più voce in capitolo nelle future operazioni del complesso militare-industriale, lo stato maggiore dell’esercito e il Ministero della Difesa sembrano avere scatenato una guerra burocratica su chi controllerà i profitti del commercio d’armi. Dato che i commercianti d’armi e i loro associati cercano alleati che li aiutino nella nuova situazione fluida, le vecchie alleanze sembrano disintegrarsi rapidamente. Quelle nuove che verranno create si baseranno sull’abilità dimostrata dai singoli politici nel proteggere i flussi finanziari”. E il 5 novembre, in pieno scandalo, Djindjic annunciava che il governo della Serbia stava avviando misure per rimuovere il blocco alle esportazioni di armi delle sei maggiori società di produzione, specificando che tali società nel 2001 hanno raddoppiato o addirittura triplicato la loro produzione e ora danno lavoro a 100.000 persone, con esportazioni per 100 milioni di dollari.

CONCLUSIONE

Nel clima di artificiale unità nazionale creatosi in Serbia dopo l’omicidio di Djindjic, nessuno osa più dire una parola critica su personaggi come Mihajlovic, Zivkovic e Krga. La vicenda Jugoimport comporta per tutti e tre una forte ricattibilità, perché essere stati pubblicamente coinvolti in un documentato traffico d’armi con l’Iraq è oggi indubbiamente ad altissimo rischio politico. Gli USA, comunque, non hanno sollevato obiezioni all’ascesa al potere di Zivkovic: nell’instabilità mondiale causata dalla guerra sarebbe evidentemente pericoloso aprire un altro fronte, anche solo a livello diplomatico, in un paese esplosivo come la Serbia. Meno spiegabile appare invece il fatto che l’inverno scorso non abbiano insistito per l’individuazione dei responsabili dei traffici.

A nostro parere, tuttavia, l’elemento più sconcertante della vicenda non sta nel link con l’Iraq. Il caso della Jugoimport è soprattutto un esempio lampante di come gli attuali tre maggiori responsabili della lotta contro i criminali in Serbia siano allo stesso tempo tra i maggiori responsabili dell’inazione contro tale criminalità negli ultimi anni (in particolare i due ministri degli interni Mihajlovic e Zivkovic) e facciano parte di una cupola politica collegata ai vertici militari, dedita a uno dei più odiosi traffici, quello di armi, per un giro d’affari da capogiro.

Le parole più efficaci su tutto questo le ha scritte il settimanale serbo-bosniaco “Reporter” in tempi non sospetti, il 29 ottobre scorso: “E’ incredibile, paradossale, assurdo e anche irresponsabile che due ministri dell’interno, quello federale e quello della Serbia, Zoran Zivkovic e Dusan Mihajlovic, che fanno entrambi parte del consiglio di amministrazione della Jugoimport, non sappiano nulla delle attività di tale azienda. Le armi, le munizioni e la loro circolazione sono di importanza vitale per la sicurezza nazionale. Se dobbiamo ammettere che non sanno niente di tali fatti, ci si può domandare allora cosa ne sappiano dei traffici di sigarette, petrolio e droga, o della tratta di esseri umani. Perché il traffico illecito d’armi significa che la mafia si è costituita in stato nello stato. E poiché le rotte del traffico di sigarette e di droga sono quelle che aprono la strada al traffico d’armi, il crimine organizzato è l’inizio dell’introduzione del terrorismo organizzato sul territorio di un paese”. Parole che rendono superfluo ogni altro commento.
Andrea Ferrario
Bulgaria-italia.com

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Posted by on 02/05/2010. Filed under Mafia Mondiale. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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