Rifugiati: Storia di un’intossicazione

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Inchiesta

Il business sull’assistenza ai rifugiati (seconda parte)*
Enrico Campofreda
Rifugiati: Storia di un’intossicazione

“Una parte del business di Arciconfraternita, oltre che negli alloggi sta nella fornitura dei pasti. Comprano prodotti di scarsissima qualità”. Ce lo rivela un dipendente del Centro Enea, struttura che oltre a cucinare per i suoi 400 ospiti fornisce il catering alla dozzina di Centri che l’associazione vicina alla Cei gestisce in Roma. Il lavoratore ha chiesto di restare anonimo perché ha paura di ritorsioni, un po’ abbiamo storto il naso. Quando però leggiamo la lettera che la Funzione Pubblica della Cgil ha spedito in data 6 luglio 2010 alla dirigenza delle stesse cooperative sociali gestite da Arciconfraternita con oggetto “caccia alle streghe” e che fa riferimento a provvedimenti disciplinari in corso nei confronti di dipendenti comprendiamo quei timori. Gli stessi che portano un afghano ventitreenne, ospite del Centro di Pietralata a non rivelare il suo nome nella sua testimonianza. Sorride e dice “Scusa amico non scrivere come mi chiamo”.

Perché? “Potrei avere problemi”. La notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre 2009 al Centro gestito dalla Cooperativa Arciconfraternita di via Pietralata, 190 è un via vai di ambulanze. I dettagli li spiega Margherita Taliani, all’epoca coordinatrice del Centro. “Alle due di notte ricevetti la telefonata dell’operatore che allarmato mi parlava d’uno stato di malessere diffuso, molti rifugiati lamentavano forti dolori addominali, vomitavano e svenivano. Era preoccupatissimo e ripeteva “Margherita che facciamo?” Che vuoi fare? avvisa immediatamente il 118. Se la situazione peggiora telefonami di nuovo. Non riuscendo a dormire ho richiamato io dopo circa un’ora. L’operatore mi riferiva di un ampio trasporto di ragazzi in ospedale, si erano sentiti male in una quarantina e undici furono ricoverati nei Pronto Soccorso del Pertini, San Giovanni e Policlinico Casilino. Qualcuno finì addirittura al San Andrea. Il mattino seguente ho contattato i responsabili dell’Arciconfraternita riferendo dell’intossacazione alimentare che s’era verificata dopo la cena consumata come sempre fra le 22 e le 23, col cibo fornito in confezioni cellophanate dalla mensa del Centro Enea. Fui aggredita telefonicamente da Tiziano Zuccolo urlava come un ossesso “Chi ha chiamato il 118?. Risposi che avevo io dato l’ordine perché la situazione mostrava un evidente pericolo. Litigammo al telefono. Dopo seppi che un ulteriore motivo d’allarme per i vertici di Arciconfraternita era stata una notizia che l’Ansa aveva battuto attorno all’episodio. C’era stata una telefonata all’agenzia da parte di qualche abitante della zona che aveva visto il via vai di ambulanze e aveva pensato chissà a quali drammi. Il lancio fu ripreso da diverse testate che scrissero della vicenda e la cosa molto disturbò la dirigenza della cooperativa intenzionata a celare il fatto. La diagnosi per i ricoverati,  comunque dimessi nel giro di 12-24 ore, fu intossicazione da cibo, esaminai io stessa i referti. Al Centro di Pietralata i pasti venivano solo scaldati, un’operazione che non poteva contaminarli. Fui convocata da Zuccolo, contro ogni evidenza ribadì non trattarsi d’intossicazione, disse che lui stesso aveva fatto esaminare una confezione che era stata giudicata edibile. Alla stampa i manager dichiararono che i ragazzi si erano sentiti male perché a pranzo avevano ingerito vivande di fortuna. In realtà i sintomi apparvero attorno all’una, un paio d’ore dopo la cena quando fisiologicamente era in corso la digestione. Ricordai a Zuccolo le diagnosi degli ospedali, lui inveì contro i medici lanciando epiteti. Il giorno seguente al Centro di Pietralata giunse una misteriosa visita. Si presentò da me il dottor Kapplan, non l’avevo mai visto. Disse d’essere stato incaricato di visitare i ragazzi intossicati, lo fece poi sentenziò “Questo è un episodio virale”. Virale? Ribattei io, ma i referti degli ospedali? ha notato che sono stati prescritti antibiotici? “Sì, ma in ogni caso è virale però è passato e del malessere non c’è più traccia”. Lei dottore questo me lo può certificare? “Non so se potrò, chiederò all’avvocato”. Stette al telefono un quarto d’ora, quindi io ricevetti un squillo del mio responsabile che mi chiedeva se al Centro ci fosse un giornalista che faceva strane domande al dottore. Quando precisai che a far domande ero io, mi dissero di non preoccuparmi. I certificati di quel medico non li ho mai visti però quindici giorni dopo apparve una circolare interna che parlava di possibili pericoli di contagio per l’H1R1 e in caso di qualsiasi malore invitava ad astenersi da iniziative personali e telefonare all’infermeria della struttura. Ora tutti i centri hanno due numeri medici da interpellare in caso di bisogno”. A Tahir, l’ospite afghano che tuteliamo con nome di fantasia, chiediamo quale fosse il pasto incriminato “Riso e carne, tipo spezzatino. Credo sia stata quello a intossicarci. E’ un cibo ricorrente e di scarsa qualità. Noi spesso la gettiamo e siamo costretti a comprarci altro. Io lo faccio, ma non tutti come me lavorano e hanno soldi”.

Cristopher Hein “Scarsi controlli e taluni pressappochismi” il Direttore del

Consiglio Italiano Rifugiati risponde sul business dell’assistenza

Direttore Hein fra le cooperative che offrono servizi ai rifugiati politici e richiedenti asilo c’è chi ha intrapreso la via affaristica?

Non voglio accusare nessuno di affarismo. Certo l’esistenza di soggetti che partecipano a gare d’appalto lanciando solo offerte economiche al ribasso anche per servizi molto delicati un po’ mi preoccupa. Mi riferisco innanzitutto all’attività presso l’aeroporto di Fiumicino che viene svolta in convenzione con la Prefettura di Roma. Un impegno difficile perché orienta il destino del cittadino straniero intenzionato a richiedere asilo, che può magari esser privo della documentazione necessaria per l’ingresso. Chi risponde a costoro deve dare un ineccepibile orientamento legale che richiede competenza specifica delle normative del diritto d’asilo; deve conoscere perfettamente le procedure e avere un costante profondo aggiornamento della materia dei Paesi d’origine di quelle persone. E’ un compito che necessita di un’altissima professionalità e non può essere svolto da qualsiasi soggetto rivendichi un semplice impegno sociale.

Proprio per tale servizio, attualmente svolto da Arciconfraternita, Terra ha richiesto al Prefetto di Roma la documentazione della gara d’appalto effettuata perché c’è chi afferma che l’assegnazione sia stata diretta

Io sapevo che una gara c’era stata, prima il servizio veniva gestito dalla Croce Rossa poi subentrò Arciconfraternita. Personalmente non ho i documenti che certificano questo passaggio perché come Cir non siamo coinvolti.

Quanto Istituzioni e Amministrazioni locali risultano super partes e quanto esse controllano che i fondi destinati dalla Stato vengano indirizzati a gestori irreprensibili?

Francamente non penso ci sia molto controllo e non mi risulta ci sia un monitoraggio della qualità dei servizi resi. Ma non ho motivo di dubitare che non ci siano gare d’appalto. Prendiamo l’esempio del Centro Enea, struttura sui generis fuori del contesto dello Sprar (Sistema protezione rifugiati, ndr) e anche fuori dei Cara (Centri di accoglienza gestiti tramite il sistema dei Comuni italiani, ndr) che sono gestiti direttamente dal Ministero dell’Interno attraverso le Prefetture. Per il Centro Enea c’è stato un accordo particolare fra Viminale e Campidoglio in quanto è considerato un centro d’eccellenza, non di primissima ma di seconda accoglienza con tutte le caratteristiche per preparare gli ospiti a un percorso d’integrazione una volta ottenuto lo status di rifugiato. A quella struttura sono stati assegnati servizi non solo d’accoglienza ma d’orientamento legale, sociale, psicologico per ben 400 persone. Anche lì vale il discorso che facevo per Fiumicino, la materia del diritto d’asilo è materia specialistica e complessa, occorre affrontare questioni di giurisprudenza, rapporti con altri Stati e chi non è del mestiere non può svolgere in maniera eccellente l’attività e offrire un servizio ottimale.

Dunque come tutelare i rifugiati evitando che qualche pressappochista utilizzi a proprio vantaggio i loro drammi?

Ripeto: non accuso nessuno di comportamenti speculativi, parlo piuttosto d’una serietà professionale basata sull’esperienza specifica di chi può vantare una conoscenza approfondita e aggiornata. La materia è in continua evoluzione anche a livello internazionale, non ci si può svegliare al mattino e proporsi per questo mestiere. Io non dubito che ci siano procedure burocratiche corrette, metto però in evidenza che il criterio con cui si aggiudicano servizi è prevalentemente se non esclusivamente economico e correlato all’offerta. Ci sono soggetti che, di fronte a un’attività delicata come il citato sportello di accoglienza all’aeroporto di Fiumicino, possono permettersi di lanciare offerte sotto costo vista la gestione d’un gran numero d’attività e di un cospicuo giro d’affari. Il sistema che sceglie in base a una contabilità da ragioniere e guarda solo a costi inferiori è poco convincente.

Organismi terzi come l’Unhcr dovrebbero controllare gli appalti che le Istituzioni assegnano a chi propone i servizi?

L’Unhcr (Alto Commissariato Onu per i rifugiati, ndr) come emanazione delle Nazioni Unite non è di parte e avrebbe tutti i crismi per poter controllare. Ma solo qualche volta e non dovunque riesce a realizzare una sorta di monitoraggio sugli interventi realizzati.

Scritto: Enrico Campofreda
Publicato: Contropiano.org

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Posted by on 16/07/2010. Filed under Sociale. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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